domenica 14 ottobre 2012

Arthur Rubinstein

Arthur Rubinstein (Lodz, Polonia 1887 - Ginevra 1982), tra i più cèlebri e acclamati pianìsti del ventèsimo sècolo, quasi un mito, è stato l'intèrprete chopiniano per eccellenza.
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Traduciamo qui in pìccoli paràgrafi i contenuti di un lungo incontro avuto con il Maestro in un lussuoso albergo romano la mattina il 19 luglio del 1978.

Le piace parlare in italiano?
"Non lo parlo correntemente: non riesco a sostenere una conversazione approfondita. Per me è molto più semplice esprimermi in inglese, tedesco, francese, russo e spagnolo. La lingua italiana non l'ho mai studiata: la conoscenza che ne ho deriva dall'abitùdine all'ascolto, dalla lettura dei giornali e dalle espressioni d'ammirazione che ho sempre esternato per questa terra e la sua gente".

Che cosa ne pensa del pùbblico italiano?
 "E' il pubblico più affettuoso e fedele che abbia accompagnato la mia lunga carriera. Venni per la prima volta a Roma nel 1910, òspite di un diplomàtico polacco che lavorava all'Ambasciata austrìaca presso il Vaticano. La Polonia era, in quel tempo lontano, soggiogata dalla Russia. Lui mi fece suonare davanti a tutta la società capitolina. Dirigeva il giovane Bernardino Molinari, alle prime armi. Da quell'anno sono sempre tornato a Roma. Le altre città italiane erano pazze per l'òpera lìrica mentre l'interesse per la mùsica sinfònica e camerìstica mi pareva assai scarso: a spadroneggiare erano tenori e soprani. Fu dopo la seconda guerra mondiale che la deplorèvole situazione cominciò a mutare, e gli italiani a poco a poco non ne vòllero più sapere di melodrammi, acuti e gorgheggi".

Oltre la mùsica che cosa appassiona la Sua vita?
"La mùsica, poi la mùsica, eppoi è la letteratura  ciò che più mi ha attratto fino a quando gli occhi me l'hanno permesso. E' stata una passione accesìssima, forse ancor più àvida di quella musicale. I grandi libri mi sono stati amici più degli stessi amici, e con loro conversavo e loro mi hanno suggerito i temi fondamentali dell'esistenza, e le mie mani sul pianoforte sono diventate più sensìbili... Oggi sono quasi cieco e non posso più lèggerli, i capolavori, ed i miei amici sono tutti morti".

Sappiamo che lei non nutre alcuna simpatìa per la Germania. Motivi molto seri?
"Ovunque vada sono circondato dall'affetto e dall'ammirazione della gente. C'è un solo paese dove non non metterò mai più piede: la Germania. I nazisti hanno massacrato la mia famiglia. Il rispetto per i miei morti mi vieta di stringere le mani di persone che ancora vìvono ed ancora dèbbono pagare per gli atroci crìmini commessi".

E la sua patria polacca?
 "E' un paese governato da un regime comunista ed io odio il comunismo. Tuttavìa il pòpolo polacco mi ama e le autorità mi hanno conferito la Legione d'onore e insignito della cittadinanza onoraria di Lodz, mia città natale. Ne sono grato".

Fra i suoi amici conta Mtislav Rostropovich.
"Accusato dalle autorità soviètiche di attività sovversiva ed espulso dall'URSS insieme alla famiglia, Rostropovich non è soltanto il mìtico violoncellista che tutto il mondo applaude ma ha dimostrato di èssere anche un vero uomo. Ne ho ammirato il coraggio quando ha ospitato nella propria abitazione il "sovversivo" Solgenitsin. Ora gli hanno tolto il passaporto, ma lui resta uno straordinario patriota russo, e prima o poi tornerà alla sua terra".

Qual è la sua visione della vita?
 "La mia Weltanschauung s'incentra sull'amore. Esìstono numerose religioni al mondo che si combàttono e si nègano a vicenda da sempre. Si osservi un pòpolo antico, civile e colto come quello irlandese: tra cattolici e protestanti scorre sangue fraterno anche per ragioni di fede: un'assurdità. Dio o non esiste, o esiste ed è unico, per definizione, e riversa eguale amore su ognuno di noi. In Lui l'uomo dovrebbe èssere fratello all'uomo, ma non è così. Resterà insoluto sul campo il dilemma del perché siamo nati, perché dobbiamo soffrire, perché siamo indifesi, come gli animali, di fronte alle malattìe, perché è destino morire tristemente... Dunque non è vero che siamo tanto importanti quanto crediamo di èssere. Una cosa sola possediamo, e brevìssima: la vita, ossia il sentimento. Ecco la mùsica, la poesìa e, sovr'a tutto, l'amore. Io vivo di quest'amore. Ne ho dato e ne ho preteso tanto nei rapporti umani e nell'arte. Adesso mi sto avvicinando alla conclusione del viaggio e mi sento tranquillo. Non mi domando dell'al di là. Se Dio esiste, da Lui non avrò nulla da temere, e l'eternità sarà gioia. Se non esiste, non patirò delusioni dalla sua non-esistenza, non rimpianti".

Ha mai conosciuto l'infelicità?
 "Certo che sì. Mi è stata ùtile a capire ed apprezzare i momenti belli dell'esistenza. Il bianco lo si riconosce dopo aver visto il nero, ed è dopo la tempesta che il cielo ti offre di sé una purezza assoluta".

Che giudizio dà dell'avanguardia musicale?
"Non è bene giudicare ciò che non si conosce, ed io quegli ermètici linguaggi contemporanei non li conosco né mi interèssano, ma li rispetto. E' vano tentare di decifrare quanto è lontano dalla propria sensibilità. Una volta una vecchia signora statunitense restò di stucco di fronte ad un quadro astratto di Picasso. Interrogò al propòsito l'artista spagnolo: "Maestro, mi perdoni, che cosa signìfica questa tela?". Con tono assai serio Picasso: "Per Lei, madame, potrebbe significare unicamente molte migliaia di dòllari".

E' appagato dal presente?
 "Non dò più concerti, ma mi piace continuare a suonare in privato. E quando non suono mi piace ascoltare nella mente, nella versione orchestrale completa, i capolavori sinfònici e concertìstici dell'età clàssico-romantica. Mi interrompo se qualcuno mi chiama, ma appena possìbile riprendo l'ascolto mentale dell'òpera dalla battuta in cui l'avevo interrotto".

Quali consigli darebbe ai giòvani che intendèssero intraprèndere la carriera artistica?
 "Constatare fin da principio se si è in possesso di talento. In caso contrario sarà prudente abbandonare la via dell'arte. Per entrare in quel mondo da protagonista non basta lo studio accanito, non la ferrea perseveranza della volontà, né il docente di fama. Già a quattro anni si intuisce se il bambino sia dotato: a quell'età io suonavo in pùbblico. Prendiamo il pianista: egli è per natura un solista, anche quando suona in orchestra: o eccelle o è destinato al compromesso. E nel campo dell'arte, il compromesso è di norma un fallimento".

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