lunedì 22 ottobre 2012

Philip Glass

Ci siamo incontrati con Philip Glass nel marzo del 1984, in occasione della prima rappresentazione all'Opera di Roma dell'epìlogo del quarto atto e delle scene del primo, secondo e terzo atto di "The Civil Wars" ("Le guerre civili"), il ciclòpico lavoro teatrale allestito dal regista Bob Wilson. Lavoro che nella sua completezza contempla cinque atti e 15 scene per una durata totale di nove ore all'incirca. Mi disse Glass al proposito: "Ho impiegato per le musiche di questo vasto lavoro la stessa tècnica applicata alla mia òpera precedente, "Einstein on the beach". Nulla a che fare con mùsiche concertìstiche: qui il linguaggio sonoro si adegua alle esigenze prioritarie del racconto e del ritmo della pièce teatrale. Il regista Bob Wilson ed io abbiamo iniziato a realizzare le scene, quindi abbiamo definito i testi e la recitazione ed in base ai tempi ho scritto le mùsiche acconce. Mùsica molto tonale, fondata sulla principio della ripetizione e variazione, con una strumentazione orchestrale di tipo affatto tradizionale".
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Philip Glass è il caposcuola del "Minimalismo" in musica (sebbene nei più recenti lustri la sua scrittura si sia avvicinata ad un modello più tradizionale e "sinfònico"). Un'icona americana: come George Gershwin o John Cage, per intèndersi. Un riferimento obbligato per la mùsica colta degli ùltimi trent'anni. Nel momento in cui più le avanguardie europee s'intorcinàvano in intellettualismi strutturalìstici rarefatti e rebussìstici, sulla soglia dell'atomizzazione del suono, ovvero del silenzio, ecco che dall'altra sponda dell'Oceano, come un gran sole che sorga dall'orizzonte, Philip Glass irrompe sulla scena mondiale con lesue sonorità sèmplici, terse, solari, sempre uguali a se stesse, ripetitive come una cantilena, senza fine, e adagiate all'uopo anche nell'ormai lisa ed aborrita tonalità di "do maggiore".... Oggi le platee la apprèzzano, l'applàudono e si riconcìliano così con il linguaggio dei suoni contemporaneo, mentre gran parte della crìtica, in specie europea, si scandalizzò, sbraitò e condannò alla pena capitale, per perpetrate ovvietà & banalità, il novello mùsico a stelle e strisce.

Il quale è nato a Baltimora nel 1937 da genitori ebrei emigrati dall'Ucraina. Da giovane ha studiato all'Università di Chicago la matemàtica e la filosofìa, e per guadagnare ha fatto il tassista e il gestore di una compagnia di traslochi.
Ma come sei giunto alla musica? "I primi approcci risàlgono all'età di otto anni, grazie ad un flauto. Ho cominciato a scribacchiare note sul pentagramma a quindici. Ho studiato composizione alla Juilliard School di New York e dal 1962 al 1965 mi sono trasferito a Parigi dove ho proseguito gli studi con Nadia Boulanger".
Quale è stato l'insegnamento prìncipe ricevuto da quella grande docente? "Direi piuttosto che iniziammo un duro lavoro di ripasso di tutti i concetti basilari del far mùsica, fino a giùngere alle misteriose relazioni che intercòrrono fra un sistema di segni linguìstici e lo stile".
Quale stile? "Assumemmo d'esempio quelli di Palestrina, Bach, Mozart e Stravinskij".
Sono compositori che in sèguito hanno in qualche modo influito sul tuo stile? "Assolutamente no".

Quali sono stati i maestri che hanno contribuito alle tue fondamenta linguistiche? "I più importanti il sitarista indiano Ravi Shankar, conosciuto a Parigi, e John Cage".
Che cosa ti ha prospettato il modello sonoro del cèlebre artista indiano? "In primis, la struttura della mùsica incentrata sul paràmetro rìtmico, e non necessariamente sull'armonìa e sulla melodìa com'è accaduto di norma nelle tradizioni occidentali".

Attribuisci un peculiare significato all'attività del comporre, oppure è mestiere, un semplice lavorare? "Per me comporre è fare, ed èssere musicista è dedizione totale a questo fare, in cui riverso me stesso e la mia esistenza interiore".

I tuoi rapporti con le "terribili" Avanguardie europee? "Non le conosco" (NB. la risposta è chiaramente e provocatoriamente polemica e, data da un musicista, anche vituperosetta).

In che modo definiresti il tuo linguaggio musicale? "Sèmplice, impostato su sèmplici ritmi e su sèmplici rapporti d'armonìa".

L'ispirazione esiste? "Forse nel sonno, a livello subconscio".

Come giudichi due grandi compositori americani quali Eliot Carter e John Cage? "A dirti la verità, del primo non mi sono mai interessato. Del secondo che dire ancora? Non so di un solo musicista che non ne abbia subito il fàscino".
A tuo avviso quale è stato il più geniale insegnamento di Cage? "La mùsica si compie nel pùbblico che l'ascolta. Vale a dire, la penna del compositore e la fantasìa ricettiva del pùbblico assùmono eguale rilievo ed incidenza nella realtà dell'òpera d'arte".
L'òpera d'arte quasi una coproduzione? "Proprio così. La mùsica non è astrazione, che invece è la matemàtica, per farti un esempio".

Ti piace la mùsica di Leonard Bernstein? "No".
Perché? "La domanda pònila a lui".

Conosci qualche compositore italiano contemporaneo? "Maderna, Petrassi, Nono e Berio. I più giòvani no".
Questi citati si legano alla tua musica? "Non direi".
Può èssere che qualcosa divida e distingua i compositori americani da quelli europei? "Gli americani hanno assai poco il senso della Storia".
E' un bene? "Senz'alcun dubbio. La tradizione talvolta intralcia e tiene ancorati. Chi ne è libero è più leggero ed àgile, e dinanzi gli si dischiùdono più lìberi e vasti orizzonti. Va da sé, non si sceglie dove nàscere".

Per ventura, t'è giunta voce delle fèrvide discussioni che s'intrècciano qui, nel vecchìssimo continente, circa l'eventuale "morte della mùsica d'arte"? "Se debbo èssere sincero, no. Strano, oggi la mùsica offre di sé un panorama molto vario e vivace, ed è così influente nel cuore d'ognuno e in specie dei giòvani! Il pùbblico mi pare ben disposto. Non comprendo perché la mùsica dovrebbe essere sul punto di tirar le cuoia. Ma chi lo dice di voi?"
Eppure se una vasta platea è posta ad ascoltare, mettiamo, due ore di mùsica di uno Stockhausen o di un Webern mica si entusiasma. "S'è per questo nemmeno io".
E di chi s'entusiasma allora il pùbblico? "Conosco negli Stati Uniti compositori che forse voi in Europa ignorate. Faccio soltanto tre nomi di giòvani sotto i trentacinque anni: John Adam, Gland Branco e David Burnos. Loro piacciono, eccome!"

Qual è il tuo giudizio su un rilevante compositore americano del Novecento storico come Charles Ives? "E' stato un grande. E un tempo la sua mùsica è stata importante per me".

Ami il jazz? "L'amo, ma non ho talento per l'improvvisazione, come richiesto da questo stile".

E la mùsica rock? "L'ascolto con piacere, come ascolto tutta la mùsica, d'ogni gènere. Qualche frammento càpita sovente che s'incunei nei miei lavori".







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