domenica 14 ottobre 2012

Carlo Maria Giulini

Carlo Maria Giulini (Barletta, 1914 - Brescia, 2005) è stato giudicato uno tra i maggiori direttori d'orchestra del secondo Novecento. Abbiamo riassunto di sèguito, dopo numerose conversazioni negli anni, quelli che erano i suoi convincimenti intorno ai punti nodali della sua esistenza privata, morale  ed artistica.
*
Un ideale di vita.  "Vorrei condurre una vita sèmplice, ma gli altri non sono d'accordo e còmplicano ogni cosa. L'ùnica meta dell'uomo dovrebbe èssere la felicità. E il màssimo della felicità dovrebbe consìstere nel fare il lavoro per il quale si è nati. Tutto è così fràgile, passeggero: se non ci fòssero le registrazioni discogràfiche che segno lascerei del mio impegno direttoriale?".
*
Umiltà. "Sono come una valigia in trànsito. Tutti del resto siamo in trànsito. Se non ci fossi io, ci sarebbe un altro al mio posto".
*
La mia famiglia.  "La mia vita non è stata di quelle fàcili. Un cammino, agli inizi, non agèvole. Ho dovuto lavorare strenuamente, sono stato al fronte, ho affrontato le difficoltà del periodo crìtico dell'Italia tra fascismo e nazismo. Però ho avuto le due maggiori chances che siano concedute all'uomo: la famiglia dalla quale sono nato e la famiglia che mi sono creato".
*
La donna.  "La donna è competitiva con l'uomo, ma impara dall'uomo le cose peggiori. Forse sarò un sentimentale, ma ritengo che se cancellàssimo la figura della donna, che era un tempo il centro della casa e della vita, resteremmo òrfani di tutto: anche della speranza".
*
Io e gli altri.  "Non temo il contatto con gli uòmini. Posso temerne la violenza fìsica, ma la mia speranza non è mai venuta meno giacché confido nel destino degli èsseri umani, vale a dire nel cammino che li dovrà condurre innanzi tutto al senso della recìproca tolleranza, e quindi alla bontà. Certo, non esiste bontà senza intelligenza, coraggio e altruismo. Ma queste cui tendiamo sono virtù che dovremo conquistare insieme".
*
La paura del direttore.  "Ricordo che una volta, quand'ero ancora molto giòvane, un amico mèdico venne a trovarmi nel camerino di Santa Cecilia prima di un concerto. "Hai paura?" mi domandò. Gli dissi di no. Mi tastò il polso: risultò normalissimo. Però dopo il concerto dovetti rimanere tre mesi a riposo tanto mi ero esaurito. Ripeto sempre che bisogna aver paura di non aver paura, eppure c'è un momento in cui l'umiltà non è più consentita: quando sali sul podio per interpretare i capolavori della mùsica. Allora devi dirti: "Io ora sono Mozart (o Brahms, o Schumann...)". A concerto concluso, quei geni sono lassù, intangìbili, e tu torni ad essere Carlo Maria Giulini, ossia nessuno".
*
La bacchetta ideale.  "Di Bruno Walter vorrei la gioia del far mùsica; di Wilhelm Furtwaengler l'intensità della linea insieme alla fantasìa e alla libertà eccezionali; di Otto Klemperer il forte senso dell'architettura e il rispetto della forma; di Victor De Sabata il colore e la dinàmica".
*
L'òpera d'arte e l'intèrprete.  "L'incontro con l'opera d'arte somiglia ad un incontro amoroso tra due èsseri umani. Un avvicinamento progressivo, una conoscenza sempre più profonda, sino al possesso recìproco, e i due èsseri divèngono una sola cosa. Lo stesso accade con la mùsica quando l'intèrprete affronta un'òpera. Dapprima il momento della conoscenza di quanto è scritto in partitura. Segue lo stadio determinante, in cui l'òpera la si conosce interiormente e la comprensione è recìproca. Quindi l'ùltima e decisiva tappa: il possesso: l'òpera d'arte diviene tua. Sino a che si deve studiare e comprèndere il testo è necessario èsser ùmili e rispettosi. Ma nell'atto dell'esecuzione ed interpretazione occorre mèttere da parte le riserve: nel possesso tutto viene superato da ciò che svetta, ed è l'amore. Invero il rapporto con l'òpera d'arte non è che un atto d'amore".
*
La mùsica contemporanea.  "Pur non avendo preclusioni per alcun genere, sono portato ad interpretare soltanto la mùsica che ho la possibilità di capire, quindi di amare, ma innanzi tutto di lèggere. Nella mùsica contemporanea si còntano linguaggi che non decifro, scritture che non conosco, suoni che non appartengono alla mùsica quale io la concepisco. Un rumore di pèntole in cucina può  avere una valenza affettiva se è mia moglie che sta cucinando, ma per un altro non signìfica un bel niente: una mera sensazione epidèrmica. Io credo nell'arte come comunicazione di quei significati di cui l'umanità abbisogna. Mi pare che la mùsica contemporanea, schiacciata forse dalla scienza e dalla tecnologìa, segni una pausa in tal senso".
*
La mùsica e i giovani.  "Oggi tutte le informazioni ci giùngono dagli occhi e minàcciano d'èssere costrittive. La mùsica invece lascia lìbera la facoltà fantàstica e non ci rende schiavi di nessuno. I giòvani lo avvèrtono, anche se al propòsito possiamo ricavare impressioni di segno contrario. Quei giòvani che non crèdono alla libertà che può dar loro la mùsica ritengo che sìano una netta minoranza".
*
Il gesto direttoriale.  "Diffìcile spiegare sul piano razionale che cosa sia il gesto per un direttore d'orchestra. Guarneri non concertava con una bacchetta ma con un pezzo di matita. De Sabata interpretava in forma mìmica, di danza. Furtwaengler, sotto il profilo della tècnica gestuale, sbagliava tutto perché accennava con le braccia e con il corpo cose assurde, eppure ciò che comunicava ai professori d'orchestra rimane insuperato. Il direttore deve possedere in sè il suono. Io vidi Danny Kay dirigere l'Orchestra Filarmònica di Israele in occasione di un concerto per l'UNICEF: cose pazze e divertentissime. Ma il suo gesto, tra smorfie e piroette, era assolutamente esatto. Ciò che conta non è il gesto, è il risultato.Quando insegnavo al Conservatorio di Milano ripetevo sempre ai miei allievi (ricordo Abbado e Berio tra gli altri): "Non voglio sapere che cosa fate. Se un vostro gesto non traduce ciò che pensate non so dirvi come corrèggerlo perché sono le vostre idee a non èssere chiare".

Nessun commento:

Posta un commento