domenica 14 ottobre 2012

II) Alda Merini

Ai poeti la gente si rivolge rade volte, avendo altro cui badare. Deve pensare alla vita, che a detta d'ognuno è una brutta gatta da pelare. D'altra banda, essi, i poeti, paiono ciondolare dalle nuvole, per nulla empìrici, poco affidàbili perché troppo dissìmili da noi, gente normale. Noi siamo la settimana, loro, i poeti, la domènica; noi la fàbbrica diurna, essi, i poeti, gli opifìci notturni. E pàrlano strano, sovente arduo e, ciò ch'è peggio, le parole che mòdulano tràggono in inganno: sèmbrano voler dire una cosa mentre la significanza è tutt'altra. Diceva Jean Cocteau che le masse pòssono amare un poeta soltanto per un malinteso.

Diceva Ortega y Gasset che il poeta incomincia là dove finisce l'uomo. Ma dove comincia la poetessa Alda Merini? Nelle sue esplosioni di risate? o nel suo sùbito rintanarsi in imperscrutàbili regioni di silenzio? o nel famigliarizzare col primo volto che incontra? o nell'amoreggiare con le ideepiù irrazionali e con i ricordi più feroci?  Mi dice: "Come poetessa sono una conservatrice. Come donna anziana amo le cose che sono state lambite dai miei amori, dalle mie sventure, dalle mie felicità".

Dimora Alda Merini lungo il Naviglio, in Milano, da cinquant'anni, avèndone ella settantadue d'età. Ma ne dimostra assai meno: anzi, non ne dimostra alcuno: non è vecchia, manco giòvane - altra stramberìa di codesta "razza" d'èsseri poetici. L'esperienza che ha contraddistinto e tuttavìa contraddistingue la sua vulcànica ed irònica esistenza, si sa, è stato il manicomio: gabbia di folli più coerenti, coraggiosi e fantasiosi, di coloro che vanno scorazzando di fuori: oltraggiosamente liberi, e d'una normalità inquietante. "Ho litigato coi miei figli, che m'accùsano di trascurarli, di non protèggerli. Io trascurarli? Ma ti pare?". Il suo rapporto con la progenie è in vero curioso. Quelli l'àmano d'una formidàbile tenerezza, e d'una doverosa ammirazione; ella li contraccambia - o l'antìcipa - con modi divoranti; e però una sòrta di pudicizia fatta di battibecchi velenosi avviluppa e percorre l'intermittente rapporto.

Intrattenersi con la delicatìssima poetessa è agèvole soltanto in apparenza: di là da l'urbanità del dire, da la famigliarità del comportamento. Ella parla per ellissi, per sguardi strafottenti e romàntici in uno, e le parole si muòvono peggio di camaleonti infuriati. "Io non leggo più. Mi dolgono gli occhi". Che non legga più non sia a crèdersi. "Ma no, davvero! dò una scorsa al quotidiano, a riviste femminili poco impegnative, agli articoletti di gossip". Ed èccola sprofondarsi ne le lodi a l'inglese Diana, correndo il quinto anniversario de l'immatura scomparsa, bellezza inglese angelicata, bionda bellezza perfettuosa, che solo un'alma perfidiosa, un cervello inordinato ardirebbe di tradire. E come potè quel prence? Non sono forse i prìncipi superiori non soltanto a duchi, marchesi, conti e baronetti, ma anche, e sovr'a tutto, a la gente comune più che sovente traditora? Eppoi, passi la bellezza, ch'è a la fin fine una sciarada estètica, ma con Diana è stata tradita e vituperata la maternità. "Anch'io sono stata donna tradita: dalla famiglia, dagli amanti, dal matrimonio. Ho molto amato, e la ricompensa è stata quella manicomiale. Eppure hanno malignato sul mio conto, qui in zona Naviglio. Io che sono madre, io, Madonna emarginata".

Viene di pensare: è proprio vero, è necessario esser càndidi siccome colombe, astuti siccome serpenti, intanto che Alda Merini non ci sa fare col quotidiano. "La donna al momento del parto tocca la morte con le mani. E la religione è il supremo nutrimento del poeta". Ella si professa religiosa: è la sua una forma di lirismo, un tèndere a la purità di cieli pensati ed agognati, là dove solo il barbaglio de la fede in un ente supremo regge la vertigo. Però i dogmi non andrebbero, forse, considerati con gran cautela? "Macché! amico mio carìssimo: la Chiesa romana li ha formulati perché offrano quiete alla mente dell'uomo". Bisogna star da la parte degli uomini, sostiene. "Voi siete bietoloni, creduloni, vi tenete per potenti, partite, conquistate, teorizzate, assolvete e condannate. Giusto. Ma sono le donne che comprendono, e basta una loro piroetta ad infinocchiarvi e lasciarvi come baccalà, che neppure ve n'accorgete. Siete individui da difèndere, poveretti. Io sono dalla vostra parte". Si dura fatica a reputare le donne delle faine che ne combìnano di cotte e di crude: e di lesse a l'uopo. E come si fa quando s'ammira l'interminata innocenza della Merini? La quale giuoca con l'interlocutore in controluce, di traverso, e dal fricandò della psicologìa più ingarbugliata e grottesca di questo mondo, tutto d'un tratto estrae un'immàgine verginale che profuma d'origini: "La poesìa è prender per mano una maternità còsmica".

L'hanno amata, l'Alda, intellettuali "importanti": dallo scrittore Giorgio Manganelli cui ispirò "Hilarotragoedia", al poeta Salvatore Quasimodo, a Pasolini, che la chiamava "la ragazzaccia milanese" e la citava fra i poeti memoràbili del Novecento. E da tanti altri fu amata, così come lei amò alla follìa, non ricambiata, Lucio Dalla, insieme al quale ricevette il "Premio Montale" . In quella occasione il suo dentista la sollecitò: "Ora che hai raggranellato un po' di soldi grazie al Premio, rimèttiti i denti (perduti a causa degli elettroshok in manicomio, ndr). E lei: "Fossi matta! Vuoi mèttere la soddisfazione di ridere a Lucio con la bocca sguarnita? Eppoi, già peso sull'ottantina. Se mi dotassi di dentatura e potessi così masticare quanto cibo mi garbasse, arriverei a superare il modello rubensiano. E Lucio che direbbe?
E Alda amò anche, nel corso di lenti e sofferti dodici anni (dai 27 ai 39), i circa duemila pazienti del "Paolo Pini", il nosocomio psichiàtrico di Milano ove dimorò a lungo. "Facevo la cameriera, portavo il caffé a chi faceva l'amore". Si innamorò di un malato che incontrava quotidianamente in ospedale, ed anche lui provò un èmpito per lei. Volevano amarsi ma non gli erano concessi spazi. Alda bussò alla porta del direttore dell'ospedale e supplicò un permesso d'uscita per sé e per quell'uomo stento e dolce. Era intelligente, il direttore, e glielo accordò. Un pomeriggio d'inverno i due èsseri, mano nella mano, aprìrono il cancello del nosocomio e vagàrono per le vie brumose di Milano, senza sapere dove dirìgersi, stupefatti dell'accadimento, incrèduli a se stessi. Trovàrono una pensione. Salìrono in càmera. L'uno di fronte all'altra, si guardàrono un àttimo. D'improvviso si prèsero per mano e  scèsero le scale. E tornàrono a "casa", felici.
Un amore è tale quando uno è felice della felicità dell'altro.
Un amore, non importa quale, diventa grande anche se fratello alla castità.
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(5 - X - 2002)

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