domenica 14 ottobre 2012

Giacomo Manzù

I dati biogràfici? Ne conoscevo pochìssimi: era nato a Bergamo nel 1908, dodicèsimo di quattòrdici fratelli, era stato amico di Giovanni XXIII, aveva scolpito numerosi capolavori - penso alla Porta della morte in San Pietro - che l'avèvano fatto conòscere in tutto il mondo e reso uno fra i maggiori scultori italiani del Novecento. Dal 1964 risiedeva con la moglie in una villa rùstica in mezzo al verde, presso Ardea, non lontano dal mare. Qui, una mattina di luglio del 1981, Giacomo Manzù mi venne incontro, solenne e pacioso, per un colloquio che avrebbe condotto con un atteggiamento che prendeva insieme di una giocosa umiltà, di una bonaria ironìa e di un'elegante indifferenza verso i temi da noi trattati.

Il primo argomento affrontato riguarda la sua attività di scenògrafo nel teatro lìrico, iniziata fin dai primi anni Sessanta. "Vuole che Le parli chiaro? Bene. Le scene per le òpere di sòlito le realizzo per non èssere scortese e non dire no, ma è lavoro a cui mi dèdico con scarso entusiasmo. In taluni casi sono proprio un rompimento! Certo, se me lo chiede la Carla Fracci è un'altrra faccenda".
E quali sono a Suo giudizio le cose migliori che ha firmato in questo specìfico settore? "Veda, io, all'età che ho, posso ritenermi fortunato per non aver perso la ragione ma soltanto la memoria. Non Le càpita mai di dimenticare le cose da un giorno all'altro? Ebbene, a me càpita da un'ora all'altra"....
Manzù s'accorge del registratore da me poggiato sul tavolo. "Cos'è quella roba lì?". "Mi perdoni, desideravo registrare la sua voce, ma se La disturba....". "Lasci pure, grazie. Tanto io parlo una volta sola. Però non so da dove iniziare... La scenografia, già. La scena è in sé sempre un dato provvisorio, e così la concepisco e realizzo nei sìngoli casi. Un albero con una pietra davanti è un motivo poetico, ma non riveste nessun valore in sé. Ho terrore dei pittori e degli scultori che si dèdicano alla scenografìa del teatro in mùsica, persuasi di assùrgere a protagonisti dello spettàcolo in virtù delle proprie òpere, ridipingendo ciò che fanno in pittura, se sono pittori, o scolpendo o collocando copie, se sono scultori. Bischerate! Henry Moore che in scena còlloca due o tre sculture è peggio del principiante sprovveduto che fa piante e passerotti. Entrambi guàstano la mùsica. Secondo me, le scene migliori sono quelle che, possibilmente, non hanno un bel nulla. Odio gli apparati, anche per Wagner. Ciò che mi riesce un tantino di fare è la conservazione degli spazi, ossia dei vuoti. I vuoti nel teatro operìstico sono tutto. Come nel bassorilievo. Sono fondamentali per lasciare espàndere e far dominare la mùsica. Al contrario, quanti inzèppano il palcoscènico delle loro fantasticherìe, sollecitando il pùbblico a distrarsi dalla mùsica per osservare, analizzare, decifrare i loro prodotti, sono individui spocchiosi intenti alla totale vanità della spocchia: vizio capitale, come ci è stato insegnato".

E dunque il melodramma dev'èssere rispettato alla lèttera, in ogni sua componente?
 "Nient'affatto. Le scene sono staccate dalla partitura. Ci si può fare ciò che più aggrada. Sono provvisorie come lo sono i cantanti: il tempo che scorre se li inghiottirà. Chi conta è colui che ha composto la musica: è il musicista che vince il tempo. Il "Rigoletto" appartiene a Verdi, non al regista, allo scenògrafo, al cantante, più o meno prodi. Ho avuto modo di conòscere il maestro Riccardo Muti: si capisce dal volto che è persona che sa che cosa sia la musica e come la si debba trattare. Se mai sìano indirizzati a lui il mèrito e l'ammirazione, non a me, o a quelli come me, addetti alle scene. Oggi, per contro, tutti a tèssere sperticati elogi ad un gruppetto di registi e scenògrafi à la page, sì che l'òpera lirica si è ridotta a meschina occasione d'improbàbili e ingiustificate glorie! Verdi è Verdi, e Beethoven - io non me ne intendo - lui è un assoluto, ovvero un universo conchiuso e soddisfatto in sé, che poco o punto tòllera regìe e scene. Noi altri, di passaggio, abbiamo un ùnico dovere: non far strèpito".

La Sua scenografìa più recente è stata realizzata per "Ifigenia" di Gluck al Maggio Musicale Fiorentino. Ama Gluck?
 "Non tanto. E sa perché? E' uno che sembra cominciare tutte le volte, e invece tutte le volte ti pianta lì in asso. Mi spiego?"

Quali sono i Suoi rapporti con l'arte dei suoni?
 "Non so come rispònderLe in maniera esauriente. In realtà, due sono i temi che in vita mia non ha mai approfondito, anzi, che non ho mai conosciuto: la mùsica e la filosofìa; e poco anche la poesìa se non per taluni aspetti. Non che la mùsica e la filosofìa non mi àbbiano affascinato, ma il lavoro mi ha sempre derubato del mio tempo... In tre circostanze m'incontrai con Igor Stravinskij. Strano: fu sua moglie a confidarmi in sèguito che il maestro russo aveva lasciato scritto che desiderava una tomba disegnata proprio da Manzù. Quando andai a Venezia mi limitai ad incìdere il suo nome a lèttere d'oro e la data. Mi domando perché avesse scelto proprio me. I nostri colloqui peraltro erano stati difficoltosi: lui parlava in francese, io lo capivo poco, e temevo che da un momento all'altro si mettesse a parlare in lingua russa...".
Dopo Beethoven, chi le piace ascoltare? "Bach, ed anche Mozart. Tra i compositori italiani Verdi e Rossini. Prediligo in generale la mùsica dell'Ottocento; quella contemporanea la mia ignoranza non è capace di comprenderla. Stravinskij sì, mi piace assai, ma mi fermo a lui. Aspetti, certe cose di Petrassi sono belle...".
Ritiene che vi siano legami e atteggiamenti comuni tra mùsica, pittura e scultura contemporanee? "Tutto è legato". E l'arte possiede un ùnico linguaggio? "La civiltà ha un solo volto: ora più cavo e triste, ora più pieno e appagato, ma sempre lo stesso".


Lei si sente a proprio agio nel Suo tempo?

 "Mi sento bene nel mio tempo quando non penso nulla di  me e della mia arte. Io non mi consìdero: sono gli altri a farlo. Peggio per loro. Quando si prèndono in considerazione certe cose, che so, i bronzi di Riace, la Pietà di Michelangelo, la Madonna di Giovanni Pisano, la Santa Teresa del Bernini: quando rifletto su queste ed altre òpere non posso pensare a me. Mi crede forse tanto citrullo? Ed allora sto fermo, tranquillo".

E' problemàtico al presente esprìmersi attraverso il linguaggio artìstico? 

"Difficilissimo. Sono stati toccati tutti i punti tranne uno: quello della poètica dell'arte. Mi hanno domandato tempo fa quali fòssero i geni della scultura. Ho risposto: gli uòmini grosso modo si equivàlgono: sono trifogli in un prato sterminato. Succede talvolta di trovare il quadrifoglio, e magari lo schiacciamo correndo, e non ce ne accorgiamo".

Quali sono e dove risièdono le cause dell'odierna difficoltà dell'espressione artìstica?

 "Oggi la civiltà è innamorata della scienza e nel contempo ammicca alla guerra. Le menti superiori, i geni, sono calamitati in quelle sfere. Che vuole? le vecchie "belle arti" sono svalutate, quasi non hanno più mercato spirituale. Oggi la meta suprema è l'assoggettamento ed il ferreo dominio del mondo. L'àbito di moda è un asèttico càmice bianco".
La scienza non può mai essere arte? "Talvolta la scienza può, se non è sinònimo d'intemperanza, esser sfiorata dalla poesìa. Motivi fugaci".
In assenza di poètiche e ancor più di estètiche, abbiamo la sensazione che al presente il prodotto artìstico nasca alla cieca: un frammento giunto da una nebulosa di frammenti...

 "E' vero, siamo nel buio. Allorché saranno morti anche Mirò e Chagal (1), chi rimarrà? I colossi dei tempi trascorsi - amo su tutti Cézanne e Van Gogh - sono memorie rimote... Non è da esclùdere che s'aggìrino dei geni tra noi, l'ho detto prima. Chissà! Io però non li conosco".

E' pessimista circa il futuro?

 "Perché, Lei è forse ottimista? Siamo schiacciati tra America, Cina e Unione Sovietica. Assistiamo alla fioritura procace di una volgare flora nucleare... Eppoi La pregherei di non porre a me problemi così complicati. Io sono vecchio e tranquillo. Ho schivato tutte le guerre, eppure posso affermare di averle vinte tutte".

E' un "credo" artistico ciò da cui gèrmina la Sua opera? O è dal puro senso della bellezza che muove l'istinto del Suo creare e dà significato a ciò che crea?

 "Non una fede. Un bisogno, un bisogno naturale. Come il bisogno di vìvere. Ma lasciamo stare le teorìe. Le porto invece un esempio concreto. C'è una ragazza molto giòvane e bella, che vedo di tanto in tanto. Sono ormai circa tre anni che cerco di scolpirla, ma non mi viene mai il coraggio: né vestita né ignuda. Ciò da cui sono preso non è una sensazione attònita di lei, ma ciò che vorrei e potrei fare di lei. Non ho il timore di sbagliare, ma quello che avverto quando colgo un fiore e per còglierlo è necessario toccarlo".
Esaltazione fantàstica? turbinìo dolcestilnovìstico?

 "E' lo stato d'ànimo che si prova quando una cosa continua a girare vertiginosa e caparbia nella testa, sempre nello stesso modo. In sèguito, quando l'òpera entra nel momento pràtico della fattura manuale, si tratta di un processo di tipo quasi artigianale".

Lo scultore è morto a Roma nel 1991.
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(1) Il pittore spagnolo si sarebbe spento a Palma de Maiorca nel 1983 , il pittore russo a Saint-Paul-de-Vence nel 1985

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