Il primo argomento affrontato riguarda la sua attività di scenògrafo nel teatro lìrico, iniziata fin dai primi anni Sessanta. "Vuole che Le parli chiaro? Bene. Le scene per le òpere di sòlito le realizzo per non èssere scortese e non dire no, ma è lavoro a cui mi dèdico con scarso entusiasmo. In taluni casi sono proprio un rompimento! Certo, se me lo chiede la Carla Fracci è un'altrra faccenda".
E quali sono a Suo giudizio le cose migliori che ha firmato in questo specìfico settore? "Veda, io, all'età che ho, posso ritenermi fortunato per non aver perso la ragione ma soltanto la memoria. Non Le càpita mai di dimenticare le cose da un giorno all'altro? Ebbene, a me càpita da un'ora all'altra"....
Manzù s'accorge del registratore da me poggiato sul tavolo. "Cos'è quella roba lì?". "Mi perdoni, desideravo registrare la sua voce, ma se La disturba....". "Lasci pure, grazie. Tanto io parlo una volta sola. Però non so da dove iniziare... La scenografia, già. La scena è in sé sempre un dato provvisorio, e così la concepisco e realizzo nei sìngoli casi. Un albero con una pietra davanti è un motivo poetico, ma non riveste nessun valore in sé. Ho terrore dei pittori e degli scultori che si dèdicano alla scenografìa del teatro in mùsica, persuasi di assùrgere a protagonisti dello spettàcolo in virtù delle proprie òpere, ridipingendo ciò che fanno in pittura, se sono pittori, o scolpendo o collocando copie, se sono scultori. Bischerate! Henry Moore che in scena còlloca due o tre sculture è peggio del principiante sprovveduto che fa piante e passerotti. Entrambi guàstano la mùsica. Secondo me, le scene migliori sono quelle che, possibilmente, non hanno un bel nulla. Odio gli apparati, anche per Wagner. Ciò che mi riesce un tantino di fare è la conservazione degli spazi, ossia dei vuoti. I vuoti nel teatro operìstico sono tutto. Come nel bassorilievo. Sono fondamentali per lasciare espàndere e far dominare la mùsica. Al contrario, quanti inzèppano il palcoscènico delle loro fantasticherìe, sollecitando il pùbblico a distrarsi dalla mùsica per osservare, analizzare, decifrare i loro prodotti, sono individui spocchiosi intenti alla totale vanità della spocchia: vizio capitale, come ci è stato insegnato".
E dunque il melodramma dev'èssere rispettato alla lèttera, in ogni sua componente?
"Nient'affatto. Le scene sono staccate dalla partitura. Ci si può fare ciò che più aggrada. Sono provvisorie come lo sono i cantanti: il tempo che scorre se li inghiottirà. Chi conta è colui che ha composto la musica: è il musicista che vince il tempo. Il "Rigoletto" appartiene a Verdi, non al regista, allo scenògrafo, al cantante, più o meno prodi. Ho avuto modo di conòscere il maestro Riccardo Muti: si capisce dal volto che è persona che sa che cosa sia la musica e come la si debba trattare. Se mai sìano indirizzati a lui il mèrito e l'ammirazione, non a me, o a quelli come me, addetti alle scene. Oggi, per contro, tutti a tèssere sperticati elogi ad un gruppetto di registi e scenògrafi à la page, sì che l'òpera lirica si è ridotta a meschina occasione d'improbàbili e ingiustificate glorie! Verdi è Verdi, e Beethoven - io non me ne intendo - lui è un assoluto, ovvero un universo conchiuso e soddisfatto in sé, che poco o punto tòllera regìe e scene. Noi altri, di passaggio, abbiamo un ùnico dovere: non far strèpito".
La Sua scenografìa più recente è stata realizzata per "Ifigenia" di Gluck al Maggio Musicale Fiorentino. Ama Gluck?
"Non tanto. E sa perché? E' uno che sembra cominciare tutte le volte, e invece tutte le volte ti pianta lì in asso. Mi spiego?"
Dopo Beethoven, chi le piace ascoltare? "Bach, ed anche Mozart. Tra i compositori italiani Verdi e Rossini. Prediligo in generale la mùsica dell'Ottocento; quella contemporanea la mia ignoranza non è capace di comprenderla. Stravinskij sì, mi piace assai, ma mi fermo a lui. Aspetti, certe cose di Petrassi sono belle...".
Ritiene che vi siano legami e atteggiamenti comuni tra mùsica, pittura e scultura contemporanee? "Tutto è legato". E l'arte possiede un ùnico linguaggio? "La civiltà ha un solo volto: ora più cavo e triste, ora più pieno e appagato, ma sempre lo stesso".
Lei si sente a proprio agio nel Suo tempo?
E' problemàtico al presente esprìmersi attraverso il linguaggio artìstico?
Quali sono e dove risièdono le cause dell'odierna difficoltà dell'espressione artìstica?
La scienza non può mai essere arte? "Talvolta la scienza può, se non è sinònimo d'intemperanza, esser sfiorata dalla poesìa. Motivi fugaci".
In assenza di poètiche e ancor più di estètiche, abbiamo la sensazione che al presente il prodotto artìstico nasca alla cieca: un frammento giunto da una nebulosa di frammenti...
E' pessimista circa il futuro?
E' un "credo" artistico ciò da cui gèrmina la Sua opera? O è dal puro senso della bellezza che muove l'istinto del Suo creare e dà significato a ciò che crea?
Esaltazione fantàstica? turbinìo dolcestilnovìstico?
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