domenica 14 ottobre 2012

Mario Luzi

Mario Luzi, figura chiave della poesìa del Novecento italiano, nacque nel 1914 a Firenze, dove si spense nel 2005. Una làpide lo ricorda nella basìlica di Santa Croce, tra le spoglie di Michelangelo, Alfieri e il monumento sepolcrale di Dante. Non ottenne mai il Premio Nobel, ma Ciampi lo nominò Senatore a vita nel 2004 nel compimento dei novant'anni.
 Il colloquio che segue è l'insieme di due incontri avvenuti il 2 dicembre del 1997 e  il 10 ottobre del 1999.
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Due mesi prima, Mario Luzi mi aveva detto per telèfono "Per il colloquio che Lei desìdera ci risentiremo, se non Le dispiace, fra due mesi: martedì 2 dicembre. Mi chiami, se Le è possibile, la mattina alle 11,15". Trascòrrono i due mesi. Telèfono a casa Luzi nel giorno e all'ora stabiliti. Mi risponde il Maestro: "L'aspettavo".

Dopo sinteticìssimi convenèvoli e brevi frasi di circostanza la mia brutalità. Perché non le hanno dato il Nobel, come era nelle aspettative di tutto il mondo della cultura?
"Tutti me lo domàndano. E io rispondo sempre che mi rifiuto di pensare che la vita di un uomo e l'attività di uno scrittore debba chiùdersi nell'attesa del Nobel. Non consìdero quel Premio come un vero onore: basti porre mente a tutte le persone valide che non l'hanno ricevuto. Basti fare un nome: Borges"

Credo che il mondo oggi stia precipitando in un bàratro di banalità. L'uomo guarda a sé e se ne bea con un sorriso idiota sulle labbra.
 "E' stagione, la nostra, d'imbarbarimento morale, e d'infradiciamento intellettuale, concordo con Lei. M'adòpero ad evitare la contaminazione, ma si dura fatica a restare lontani dal mondo che ci stringe e avviluppa, effetto di una caduta, di un appiattimento generale dei valori".

Ma che cosa fa la poesìa? Accondiscende e si offre alla complicità? si chiude a difesa di se stessa? oppure tende a porvi un àrgine?
 "La poesìa non è astrazione. Essa è il tempo, gli uòmini, la vita osservata con occhi non troppo minuziosi di cronisti. Il poeta ha il dono di scrutare il reale con maggiore realismo dei realisti: legge il mondo in una prospettiva di profondità, non già nel fluire di una crònaca spìcciola. Il poeta rifugge dall'istante. E' chiaro che la sua natura contraddice alle prospettive moleste ed alle volgarità avvilenti del mondo odierno".

Perché nel nostro tempo il sentimento indossa vesti così làcere e succinte? Si vergogna? E' malato? Avverte la propria vanità? E' umiliato dalla boria tecnològica?
 "Il sentimento nasce sempre dal contrasto fra le cose. Oggi invece dòmina il principio secondo il quale tutto è eguale a tutto. Assistiamo alla pèrdita della facoltà analìtica e crìtica, constatiamo l'indifferenza più rozza alle differenze. Bolle in pèntola, nel centro del mondo, una broda oscena. Tutto ciò è antitètico al sentimento poètico, che ama le disparità e le diseguaglianze, ama lèggere il mondo con tensione, con gli occhi non consunti dall'usura".

Il vuoto d'ideali che sfregia la civiltà occidentale dell'ùltimo decennio grava sul fare poètico? Nel deserto il poeta pena ad alimentare la propria vena lìrica, oppure l'ostàcolo stìmola la ribellione dell'ìndole artìstica?
 "Come potrebbe il fare poètico non èssere coinvolto dal suo presente? E' un fare attenuato, e corre anch'esso il rischio dell'insulsàggine. Fatte salve, beninteso, le eccezioni: mi torna a mente il nome di Cesare Viviani".

Di tutto si può fare poesìa? E i contenuti specìfici sono forse meri pretesti?
 "Sul piano astratto rispondo in modo affermativo. La poesìa non pone lìmiti, non pròspera in un giardino recintato, in una serra. La poesìa trascina con sé il mondo intero, e il pretesto occasionale diviene il contenuto che ambisce ad eternarsi. Il contenuto autèntico, trasfigurato, s'identìfica con l'universo che l'autore scruta e sperimenta. La poesìa assolutizza la casualità e riscatta la futilità".

Verso quali orizzonti inclina la Sua natura?
 "Mi studio di dare consistenza di forma decente e di piena comunicabilità al mio divenire, crèscere, riconòscermi nell'esperienza: in senso lìrico e intellettuale. Sempre sono stato fagocitato dall'assillo di conciliare la mia esistenza individuale e fortùita con un significato ulteriore, trascendente. In tèrmini religiosi: associare la mia individualità all'unità del mondo, al tutto, all'Assoluto. Si tratta di un'ansia che vivo".

E' la religione al centro della Sua vita?

 "E' ciò che dà significato ìntimo e urgenza al mio valore di uomo e artista".

Perdoni l'ingenuità: i poeti sono tali nell'atto di poetare, o sempre, in ogni ora del giorno e della notte, in ogni stagione? 

"E' d'uso dire che tutti siamo un po' poeti quando càpiti, sebbene s'impièghino male le parole al propòsito. Tutti vogliamo dare consistenza alla fugacità degli eventi, alla transitorietà del vìvere. Ma questa si chiama illusione, non arte. Si è poeti autèntici soltanto nei momenti migliori, quando ti illùminano il talento, raffinato dall'esperienza, e l'estro, nato da un'inimitàbile forma mentis".

Le passioni letterarie memorande della Sua vita?

 "Carducci, nelle sue pìccole, ùmili cose. E non ci si rida sopra, come ci rìdono al giorno d'oggi numerosi critici e criticuzzi. Il mio primo amore nell'adolescenza è stato Guido Cavalcanti, cui è seguito Dante, mito e maestro. Maestro d'officina poètica che ti addestra al mestiere, ti èccita alla meta. Poi Leopardi e Baudelaire. Fra i latini ho ammirato assai la misura intellettuale e morale di Orazio, il suo ardimento nell'affrontare gli argomenti con un soffio d'umorismo; e fra i greci Sofocle per la sua dolorosa humanitas".
Giochiamo: quale, a Suo giudizio, il màssimo poeta del Novecento?

 "Pound. O Eliot. O magari Valery... Ma quanta la grandezza e quanta la fama? E comunque nessuno riassume in sé tutte le richieste della mia mente".

La poesìa italiana del ventèsimo sècolo è una grande poesìa? In grado di tener testa alle straniere?

 "Ungaretti, Montale, Clemente Rebora, Dino Campana non sfigùrano davanti a nessun vate. Anzi, la poesìa italiana del Novecento ha svolto una funzione ontològica che non possèdeva dal Trecento. Non è amena. Tutt'altro. Essa è òstica, petrosa, cava. Ma bellissima". 
E il panorama odierno? 
"Ci sono nomi di valore e nomi promettenti. Mi limito ad uno femminile: Alda Merini. Agiscono in lei forza, immaginazione, qualità della parola". 

Gli autori sul Suo comodino? "Sant'Agostino, Montaigne e Pascal".


Lei è considerato un maestro stòrico dell'Ermetismo

"Altri lo asserìscono. Io non ha ancora ben compreso che cosa sia stato l'Ermetismo. Forse una costruzione dei crìtici e degli stòrici della Letteratura. Io, Gatto, Quasimodo, Saba e gli altri non se ne sapeva un bel nulla di teorìe, non facevamo mica comunelle. Ci agitava una gagliarda volontà di rinnovare e rinvigorire il linguaggio anche a costo di sacrificarne la chiarezza, dopo l'epigonismo dannunziano e pascoliano".

Che cosa è la parola per il poeta?

 "Certo non un elemento fra gli altri, bensì l'elemento par excellence. Glielo confesso: per me è il Verbo divino che continua a risonare, trasformàndosi nelle varie lingue e lungo le varie èpoche stòriche. E' promanazione del significato del mondo".

Ama la mùsica d'arte?

 "Mi piace la mùsica sinfònica e camerìstica. Però se ascolto i capolavori di Mozart e di Bellini mi cade ogni prevenzione nei confronti dell'òpera lirica, che altrimenti mi sembra troppo àvida d'effetti esteriori, troppo incline al versante spettacolare e fantasmagòrico. Ciò che non tòllero sono i Drammi musicali di Wagner per lo spìrito germànico così trionfalìstico e acre di cui trabòccano".

E la mùsica leggera?

 "Ho scoperto di recente Maurizio De André. A mio modesto parere è l'unico chansonnier italiano dei nostri anni. Molto volentieri ho scritto alcune righe di prefazione ad una raccolta di saggi intesi ad analizzare i suoi testi. Peccato che l'abbia conosciuto tardi, privàndomi così di un piacere".

Come giudica il mondo d'oggi?
 "Fatto di disponibilità soprattutto formale. In realtà un mondo dove non c'è attenzione a nulla. Lo affermo pur smentendo il mio caràttere, che è quello di un uomo in buona fede, che in quanto tale sovente è stato ingannato. In effetti il mio primo moto è in gènere di apertura, di fiducia, d'emozione partecipativa. Tuttavìa che troppe volte mi sono trovato deluso, anche se queste delusioni non hanno modificato sul fondo il mio carattere. Si è quello che si è: e io sono quello che sono".

La Sua esperienza d'artista è stata in armonìa con la Sua esistenza? 

"Sono un poeta egoista. Ho armonizzato le mie esigenze artìstiche con la mia esistenza, non già con quella degli altri. Ne provo rimorso. Non ho dato ai miei cari quanto avrei potuto. Tante volte una parola, un gesto, un fare, avrèbbero rallegrato qualcuno che era stato premuroso con me. Un teòlogo ha osservato che si muore alla vita per esprìmere la vita. Mi consolo".

Si sente appagato? "E come potrei? Poeta, vorrei dare un senso alla vita, ed invece ne dò un frammento irrisorio. Non nella mia espressione, ma nel mio silenzio balùgina il tutto".
Tanti i Suoi vizi? "Tanti che non oso neppure enumerarli. Sono tutto un vizio, di là dai momenti d'amore. Vuole un esempio? Sono ghiottìssimo di dolci, sovr'a tutto di crostate fatte in casa. Altro esempio? Consumo serate vane davanti allo schermo televisivo, a guardare bùbbole e bischerate...".


Teme l'indelicatezza della morte? 
"Non ho paura del trapasso ma del degrado fìsico che lo preannuncia, la graduale impotenza a fare le cose, il tormento del corpo".

Lei è un uomo di fede?
 "Mi considero un cristiano connaturato con la cultura e la fede. Il cristianèsimo è presente nell'aria che respiro, nelle parole, nei silenzi. Ne ho ricevuto l'essenza da piccolo, da mia madre, poi via via nelle diverse stagioni della vita l'ho maturato e meditato nei miei scritti, come un percorso di ricerca, di perfettibilità. In un mio recente libro, "La Porta del Cielo", dico che in fondo tutta la poesìa moderna, che non sia un opus oratorium ma una caccia alla verità, non può prescindere dai Vangeli. Nei quali c'è dentro qualcosa che non è alla portata della parola degli uòmini. Vi pulsa un mistero, ed è mistero che non nasconde, ma anzi s'illùmina e si comùnica come tale...  Purtroppo talvolta io sono un cristiano un po' distratto, come mi rimproverava mia madre. Ma sempre con la coscienza del rapporto stretto che intercorre tra la poesìa e la preghiera. Alcuni testi litùrgici sono alta poesìa, lo è il Canto Gregoriano".

Come si immàgina l'al di là?

 "Una specie di quintessenza della nostra esperienza ètica. Non so però prefigurare una sopravvivenza individuale, ma corale. Taluno avrà errori da riscattare; talaltro la dannazione per aver peccato contro la vita... Iddio solo sa".

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